Mediterraneo luci e mito, mostra d’arte a Palazzo Venezia, Via Benedetto Croce 19, dal 21 al 27 aprile. Vernissage giovedì 21 dalle 19:00
Mostra aperta tutti i giorni dalle 10 e 30 alle 13 e dalle 15 e 30 alle 22 con presenza degli artisti.
Espongono Dario Gargiulo e Ciro D’Alessio, presentazione critica a cura di Carmela di Maro.
Un confronto tra artisti e arti diverse sul rapporto luce e mito come forze che velano e dis-velano gli abissi primigeni.
PRESENTAZIONE
“Mediterraneo, luce e mito” non è una mera mostra d’arte contemporanea, bensì una parabola antiretorica e disincantata sulla terra danzata dagli uomini, ispirata all’abisso di una proteiforme iconicità culturale e ideologica, qual è la smania che spira dalle viscere del Mare Nostrum, e condotta in superficie dall’organo flessibile della luce, in quanto proprietà sostanziale e ideale di ricezione della materia, per la quale la creazione artistica può farsi misura dell’incarnazione attraverso la forma e, al contempo, magmatica scarnificazione di un suo comportamento; è quest’ultima ad animare il repertorio artistico di Ciro D’Alessio che, in veste di un novello Dioniso, concepisce il disvelamento della bellezza come una questione di “cupio dissolvi” nella sensazione, di ritmico piacere evocato dall’impressione tonale in covalenze mobili e atmosferiche, nella quale il conformismo della linearità e l’algebra dello spazio non riescono a sostenere l’estensione del suo autentico slancio, vero al possibile di una suggestione. Eppure, come suggerito dalla conduzione “psicagogica” della forma, tutta apollinea in quel suo meccanico trasporto dell’anima, dell’arte toreutica di Dario Gargiulo, l’alchimia delle dinamiche elementari, delle primigenie forze ctonie e celesti, pretende la sua interpretazione simbolica, nonostante il ristagno della luminescenza sia il medesimo di cui l’uomo è sacro artefice e mondano consumatore. Plasmare la materia incolta, ancora occulta all’esperienza, ricrearne la “gioia” materica di fantasia è la ludica potenza del simbolo, la sua ragion d’essere un setaccio del fondale. Così, la dimensione eterotopica del reale sposa il suo mito, il più grande mistero, quello sempre vetusto e sempre attuale: il riconoscimento dell’identità della prassi dell’arte in quella del vivere, ingannando le diavolerie dell’uniformitarismo, restituendo l’irriducibilità di ciò che il cuore ha provato all’umanità che lo ha concepito.
CARMELA DI MARO.
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